Alterazioni subcorticali nella depressione maggiore

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 11 luglio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

“La depressione è un peccato” sentenziava Jacques Lacan, per stupire e provocare laicisti ed atei che facevano dell’eliminazione di ogni traccia di pensiero morale dall’approccio medico scientifico alla salute e alla malattia umana una parte essenziale della loro crociata contro una presunta arretratezza culturale dovuta alle residue influenze del pensiero religioso nella visione del mondo e dell’uomo nelle società post-moderne. Lacan si rifaceva a Freud, medico e neurologo, prima che psichiatra e fondatore della psicoanalisi, che aveva rinunciato ad ogni forma e tesi dell’umanesimo ebraico originato dalla religione professata dalla sua famiglia di origine, per sposare integralmente una visione scientista dello studio dell’uomo e della pratica medica. Eppure, Lacan, cristiano, non rinuncia a notare e far notare con la violenza di uno schiaffo sul volto delle autorità devote all’empirismo logico e più o meno consapevolmente positiviste della psichiatria del Novecento, che la pratica dell’amore inteso come costante servizio del prossimo in ogni circostanza della vita, più di una semplice pratica sportiva o di una quotidiana passeggiata di salute, è un formidabile strumento di prevenzione della depressione, almeno per le forme che non sono indotte da uno stress grave, costante e ineliminabile perché conseguenza delle stesse condizioni di vita che la persona non può cambiare.

Ma al di là della provocazione di Lacan che ho fatto mia, soprattutto in ordine all’eccesso di prescrizione di farmaci antidepressivi e ai rischi che comporta il loro uso protratto o permanente non associato a sforzi per sollecitare il cervello a guarire se stesso, rimane l’impressione professionale di una profonda differenza fra i casi di depressione maggiore che i vecchi criteri classificativi definivano endogena, e quelli che, pur rispondendo al profilo comportamentale tracciato nel DSM per questo disturbo, non lasciano trasparire la profonda e irrimediabile staticità e irreversibilità dei primi. Molti psichiatri in tutto il mondo sono convinti che si tratti di condizioni diverse. Le ragioni della differenza, forse, si possono trovare in uno studio accurato del cervello secondo le nuove conoscenze e sfruttando al meglio i più avanzati sistemi di esplorazione morfologica e morfo-funzionale.

Il lavoro dell’ENIGMA Major Depressive Disorder working group, che prossimamente sarà pubblicato in edizione cartacea e da pochissimo è apparso online, fornisce dei risultati di notevole interesse (Schmaal L., et al., Subcortical brain alterations in major depressive disorder: findings from the ENIGMA Major Depressive Disorder working group. Molecular Psychiatry – Epub ahead of print doi:10.1038/mp.2015.69, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: ENIGMA Major Depressive Disorder working group, costituito da medici e ricercatori facenti capo a 43 istituzioni universitarie e di ricerca europee, americane ed australiane per le quali si rimanda all’elenco riportato nel lavoro originale.

Raccomandando la lettura di “Scoperte e aggiornamenti sulle basi neurali della depressione”[1] a coloro che non l’abbiano ancora letto ed una eventuale rilettura a quanti non ne ricordino i dettagli, proponiamo gli aspetti salienti del maggiore studio di meta-analisi che sia mai stato condotto in questo campo.

Gli autori hanno fondato lo scopo del loro studio sulla mancanza di uno schema generale e generalmente condiviso di alterazioni strutturali del cervello associate al disturbo depressivo maggiore, ed hanno attribuito in buona parte questa lacuna alle dimensioni ridotte dei singoli campioni degli studi di neuroimmagine, alle quali si può attribuire un basso valore statistico; ma riconoscono anche all’origine di questa mancanza l’eterogeneità della malattia depressiva e alle interazioni complesse e non sempre bene definibili fra espressione psicopatologica clinica e morfologia del cervello. Per affrontare e cercare di risolvere questi problemi, gli autori dello studio hanno meta-analizzato dati ottenuti da tomografie in risonanza magnetica cerebrale di 1728 pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore e 7199 controlli sani, appartenenti ai campioni di 15 grandi studi di ricerca condotti in tutto il mondo.

Schmaal e colleghi hanno identificato volumi cerebrali sottocorticali che decisamente distinguono i pazienti dai controlli. Rispetto alle persone in buona salute psichica, gli affetti da depressione – come ci si poteva attendere – presentavano volumi ippocampali decisamente più bassi. L’insorgenza ad una età inferiore ai 21 anni era associata con un ippocampo in assoluto più piccolo e la tendenza ad avere un’amigdala di dimensioni minori e dei ventricoli laterali più espansi (segno indiretto di ipotrofia cerebrale). La gravità dei sintomi al momento dell’inclusione nei campioni degli studi, non era associata con alcuna apprezzabile differenza volumetrica cerebrale. Caratteristiche dei campioni, come l’età media dei pazienti, la proporzione di pazienti in trattamento cronico con antidepressivi e la proporzione di pazienti che era andata incontro a remissione, così come le caratteristiche metodologiche dei singoli studi, non moderavano significativamente le alterazioni dei volumi cerebrali riscontrate negli affetti da disturbo depressivo maggiore. Un dato particolare è quello del rilievo di un maggior volume del nucleo caudato nei depressi con la maggiore proporzione di farmaci antipsicotici.

Infine, questo che può essere ritenuto il maggiore sforzo mondiale, per proporzioni, di definire un pattern di alterazione morfologica comune, ha mostrato inequivocabili segni di riduzione volumetrica sottocorticale con particolare interessamento dell’ippocampo, moderati solo dall’età più avanzata di insorgenza e dallo status di primo episodio rispetto a quello della persona affetta da episodi ricorrenti.

 

L’autrice della nota invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-11 luglio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 11-04-15 Scoperte e aggiornamenti sulle basi neurali della depressione.